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E-commerce: Italia fanalino di coda europea

Immagine del redattore: Luca BajLuca Baj

Una cosa è certa: se tanto imprese sono state messe in ginocchio dall'avvento della pandemia e dalle varie zone rosse e costrette quindi alla chiusura, quelle che sono sopravvissute sono maggiormente le aziende che si sono dotate di un forte e-commerce. Secondo l'Istat però solo un’impresa su dieci, ad esempio, vende oggi direttamente al consumatore finale tramite canali online. In particolare, l’ISTAT nel proprio Rapporto sul benessere equo e sostenibile ha dichiarato che "nel 2020 la quota di imprese italiane con almeno 10 addetti che nell’anno precedente hanno effettuato vendite a clienti finali (B2C) tramite propri canali web, piattaforme digitali o intermediari di e-commerce è dell’11,5%, più che raddoppiata rispetto al 2013 (5,1%). (...) L’indicatore, per sua natura, varia molto in base ai settori di attività economica: nel settore dei servizi non finanziari raggiunge il 16,3%, nel manifatturiero scende al 6,6%. Negli anni, le imprese del primo settore hanno registrato una crescita più ampia rispetto a quelle del secondo (nel 2013 erano rispettivamente 8,2% e 2,4%)". Le imprese che risultano più indietro nell'adattamento alle esigenze emerse sono le microimprese poiché improntate su sistemi di vendita più tradizionali e locali. Purtroppo l’Italia è risultata fanalino di coda nel nuovo modo di commerciare sia per questioni culturali, sia perquestioni sociali, ma anche per questioni di approccio tecnologico.

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