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Immagine del redattoreSara Vetteruti

La inattuabilità delle misure satisfattive consente la dichiarazione di fallimento

Con una recentissima pronuncia dello scorso 6 giugno, la Corte di Cassazione è intervenuta a chiarire che la avvenuta omologa di un piano di ristrutturazione debitoria concordata non implica di per sé la impossibilità di dichiarazione di fallimento, anche senza previa risoluzione del concordato (cd. omissio medio).

La Corte infatti, con la sentenza 15859/2024, rileva come anche laddove sia in corso una procedura di concordato regolarmente omologata, ben possa essere dichiarato il fallimento della società in concordato, laddove emergano elementi atti a evidenziare la incapacità della società stessa a far fronte ai propri debiti con le modalità di cui al concordato omologato.

Il tema posto al vaglio degli Ermellini, in ogni caso, concerneva in particolare il fatto che fosse stata accertata o meno una insolvenza “nuova”, in assenza della quale secondo la società prima in concordato, il fallimento stesso non avrebbe potuto essere pronunciato.

Ebbene, la Corte rileva in primo luogo come sia ormai granitica la Giurisprudenza nel ritenere, a seguito di SSUU n. 4696/2022, che «nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dai d.lgs. n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007 il debitore ammesso al concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del pubblico ministero o sua propria, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 legge fall.».

In un tale contesto, secondo la ricostruzione della Corte, appare chiaro lo stato di insolvenza costituisca un concetto unitario, che prescinde dalla distinzione tra insolvenza “nuova” e “preesistente” (e persistente) alla procedura, in quanto concetto che «presuppone potersi profilare sia in relazione all’inadempimento delle obbligazioni concordatarie sia in relazione all’inadempimento delle obbligazioni sorte nel corso della procedura».

Di fatto, ben può avvenire che l’impossibilità di onorare l’impegno concordatario, anche con riguardo alla incapacità di far fronte a debiti sorti dopo l’omologa, attesti il permanere dello stato di insolvenza, costituendo «il fatto sopravvenuto legittimante la presentazione di nuove istanze di fallimento».

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