Passaggio generazionale delle PMI, integrazione dei sistemi di compliance per governare il cambiamento e gestire la crisi
di Paolo Fratini e Elisabetta Torzuoli* Il Sole 24 Ore , Estratto da “Norme&Tributi Plus Diritto”, 27 ottobre 2022
Introdurre e padroneggiare adeguati strumenti di governance consente da un lato di supplire alla “inesperienza” e dall’altro di tenere il passo di una gestione aziendale oggi decisamente più complessa di ieri-
Esaminando le modalità gestionali delle PMI italiane, emerge come progressivamente l’intuizione, l’esperienza, il saper fare consolidato, abbiano lasciato - o stiano lasciando- spazio ad un sempre più ampio utilizzo di procedure in grado di guidare, in modo razionale, l’organizzazione verso gli obiettivi che si è posta. Le motivazioni del passaggio da una gestione accentrata, non formalizzata, per certi versi naif e autoreferenziale, all’utilizzo delle procedure e degli strumenti del controllo di gestione scaturisce da molteplici fattori: la maggiore complessità del sistema in cui si trova a competere, gli interventi del legislatore in tema di sicurezza, privacy, “231” etc, la maggiore formazione che progressivamente la classe imprenditoriale acquisisce.
Questo passaggio tra le due forme di gestione sinteticamente sopra richiamate, spesso avviene in un momento delicato della vita aziendale come il passaggio generazionale, assommando così due elementi di criticità: il cambiamento di governance ( inteso come soggetti ) e le modalità di gestione. Spesso entrambi i cambiamenti arrivano non solo, come esplicitato in modo concomitante, ma anche repentino.
In genere, quando si affronta, la tematica del passaggio generazionale, ci si concentra, quasi esclusivamente, sulla scelta dello strumento giuridico più idoneo ad assicurare l’obiettivo, tralasciando o relegando ad aspetto quasi marginale, il cambiamento nelle modalità strategiche del governo della gestione che deve necessariamente adattarsi alla nuova governance.
In altri termini, si deve valutare come adottare strumenti gestionali diversi, più consoni alle nuove figure che si preparano a gestire l’azienda, questo però deve avvenire con gradualità, la repentina introduzione di strumenti e procedure calate dall’alto o rimangono “lettera morta” o destabilizzano la struttura spesso incidendo negativamente proprio sulla operatività che vorrebbero migliorare.
Pur generalizzando, si può di sicuro affermare che gli imprenditori, che stanno per “passare la mano” sono molto focalizzati sugli aspetti produttivi che padroneggiano in modo assoluto, arrivando a rappresentare in molte PMI dei “leader del fare”, in grado di risolvere anche problematiche operative spicciole, con ciò guadagnandosi la stima ed il rispetto del settore produttivo, ma di converso sono quasi totalmente disinteressati agli strumenti strategici del controllo di gestione, ebbene a questi imprenditori si chiede di aprirsi progressivamente agli strumenti che saranno utilizzati appieno dopo il passaggio generazionale.
A chi aspetta, spesso con ansia, e magari in età non più così giovane, il passaggio del testimone è chiesto di sopportare un certo grado di gradualità nel cambiamento, da una situazione caratterizzata da modalità di gestire basata su una esperienza difficilmente trasmissibile, dove le scelte strategiche vengono prese spesso, senza ricorrere a dati contabili o extracontabili, sulla scorta di “informazioni” ricavate direttamente dall’osservazione, ad una nuova situazione in cui il diffuso utilizzo di strumenti di controllo di gestione di consenta la più razionale ed efficace conduzione aziendale.
Possono fungere da traino al cambiamento, introducendo procedure e strumenti utili ad una più evoluta e razionale forma di governance, gli obblighi in materia di compliance, in particolar modo con riferimento all’art. 2086 c.c. ed al D.lgs. 231/2001.
Il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, introdotto con D.lgs. 12.01.2019, n. 14, come da ultimo modificato con D.lgs. 83/2022, ha ridisegnato la disciplina delle procedure concorsuali, introducendo un secondo comma all’art. 2086 c.c., a mente del quale: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché’ di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale".
L’art. 3 del codice della crisi d’impresa ha previsto, invece, per l’imprenditore individuale il dovere di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
Ecco, dunque, che lo spirito innovatore del Legislatore della crisi d’impresa va innanzitutto identificato nello stimolo a realizzare sistemi di governance e flussi informativi specifici, capaci di intercettare uno stato di dissesto.
Questa novità, il binomio degli “adeguati assetti organizzativi”, necessariamente dovrà trovare una collocazione integrata con gli altri sistemi di compliance, in particolare col modello di organizzazione, gestione e controllo, ex D.Lgs. 231/2001.
E’ infatti ormai riconosciuto che sia questo il pilastro del sistema di governo, grazie anche alla oramai cospicua letteratura di principi, best practice, linee guida delle associazioni di categoria, interpretazioni giurisprudenziali.
Ad memorandum, il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto la responsabilità degli enti per gli illeciti conseguenti alla commissione di un reato, per cui il possibile salvataggio è individuato nell’adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione e gestione idoneo ad evitare reati della specie di quello verificatosi. La costruzione di questo sistema è articolato in più fasi, che presuppongono la mappatura degli ambiti aziendali di attività “sensibili”, la valutazione del rischio, la predisposizione di un apparato di controlli preventivi che, a sua volta, richiederà:
un sistema organizzativo aggiornato, formalizzato e chiaro, sotto il profilo dell’attribuzione di responsabilità, linee di dipendenza gerarchica, con corrispondenti funzionigrammi e mansionari;
attribuzione coerente di poteri autorizzativi e di firma, in conformità al principio di segregazione delle funzioni secondo cui “Nessuno può gestire in autonomia un intero processo”;
adozione di procedure, con possibile spinta verso la digitalizzazione così da valorizzare la qualità delle informazioni e dei dati registrati e conservati;
adozione di un codice etico o di comportamento;
formazione del personale e informazione rivolta all’esterno (verso clienti, fornitori, stakeholders, partner commerciali da vincolare all’osservanza con la previsione di specifiche clausole contrattuali).
Un modello costruito in maniera “sartoriale” sull’attività ed “effettivo” nella sua attuazione consentirebbe, stando al dictat normativo, di eliminare, ridurre e/o attenuare le gravi conseguenze sanzionatorie previste in caso di condanna dell’ente.
Ora, il proliferare di articolati normativi a cui l’imprenditore deve assicurare la conformità (sotto questo profilo il D.Lgs. 231/2001 ha la peculiarità di richiedere in sé la compliance ad altre disposizioni di settore, si pensi alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, alla materia ambientale, fiscale) ha suggerito una presa di posizione netta da parte di Confindustria (“Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del decreto Legislativo 08 giugno 2001, n. 231” – edizione giugno 2021) verso il l’integrazione dei sistemi, al fine di:
“razionalizzare le attività (in termini di risorse, persone, sistemi, ecc.);
migliorare l’efficacia ed efficienza delle attività di compliance;
facilitare la condivisione delle informazioni attraverso una visione integrata delle diverse esigenze di compliance, anche attraverso l’esecuzione di risk assesment congiunti, e la manutenzione periodica dei programmi di compliance (ivi incluse le modalità di gestione delle risorse finanziarie, in quanto rilevanti ed idonee ad impedire la commissione di molti dei reati espressamente previsti come fondanti la responsabilità degli enti).
In quest’ottica, un approccio integrato dovrebbe, quindi, contemplare procedure comuni che garantiscano efficienza e snellezza e che non generino sovrapposizione di ruoli (o mancanza di presidi), duplicazioni di verifiche e di azioni correttive, in termini più ampi, di conformità rispetto alla copiosa normativa di riferimento, laddove tali ruoli rispettivamente incidano e insistano sui medesimi processi.”.
E proprio nell’ottica di un’integrazione tra i due apparati in esame (art. 2086 c.c. e D.Lgs. 231/2001), il sopraggiungere di una crisi potrà essere agevolmente intercettato anche grazie all’attività stessa dell’Organismo di Vigilanza, alle segnalazioni dei whistleblowers, mentre la continuità operativa potrebbe garantirsi grazie ad una struttura di governance in cui è interdetto ad uno stesso soggetto ricoprire più ruoli al contempo, sfuggendo da ogni forma di controllo.
Sgomberando il campo da dubbi, un’attività d’impresa, seppur di modeste dimensioni, per definirsi “sana” ha comunque bisogno di ruoli e responsabilità distinti, chiari e ben definti, di procedure certe e di un’attività effettiva di controllo.
E agli albori della riforma della crisi, il sistema di alerting previsto all’interno del nuovo codice veniva prognosticamente imputato prevelentemente proprio alle piccole imprese, ossia a quelle realtà scarsamente strutturate, che patiscono la sovrapposizione di ruoli tra impresa e famiglia.
E proprio l’appartenenza alla famiglia potrebbe frustrare le procedure di selezione del personale, non consentire l’accesso tout court a figure manageriali apicali, costituire consigli di amministrazione “apparenti”, dove in realtà il governo societario è rimesso nelle mani di uno: il capostite familiare.
L’adozione di un efficace sistema 231, finalisticamente orientato ex art. 2086 c.c., potrebbe invece assicurare l’obiettivo della riforma della crisi che è quello di assicurare la tempestiva rilevazione, nell’ottica di garantire la continuità aziendale.
Il puntuale monitoraggio delle dinamiche aziendali, l’individuazione degli opportuni KPI, se sicuramente sono fondamentali per imprese a bassi margini o con delle criticità attuali o all’orizzonte, sono comunque necessari anche per aziende sane, per almeno due ordini di motivazioni: cause esogene ed endogene possono nel breve volgere di qualche mese delineare una crisi laddove la situazione era di persistenti equilibri economici patrimoniali e finanziari; inoltre il monitoraggio consapevole e puntuale, consente di contrastare anche quelle inefficienze che seppure non sono tali da compromettere la continuità aziendale, ne mortificano o ne riducono le performances. Dal punto di vista organizzativo, l’”adeguato assetto” è riconducibile al sistema di funzioni, poteri, deleghe, processi decisionali e procedure che favorisce una chiara individuazione dei compiti e delle conseguenti responsabilità dei soggetti che intervengono nello svolgimento dei fatti aziendali.
L’efficacia di un adeguato assetto organizzativo è riscontrabile nel caso in cui sia chiara e confermata la comunicazione tra il livello decisionale e quello operativo, utile a tal fine richiamare il documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili “Norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate “ (aprile 2018, norma Q.3.4) che definisce l’assetto organizzativo “il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità”.
L’obbligo organizzativo volto - anche - alla rilevazione tempestiva dei rischi, di crisi e di perdita della continuità aziendale, configura una visione unitaria del sistema di controllo interno e di risk management che, non può che passare dalla definizione dell’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative, volte a consentire l’identificazione, la misurazione, la gestione e il monitoraggio dei principali rischi, approccio evidentemente comune alla costruzione del “modello organizzativo 231”.
L’adozione di procedure comportamentali, in funzioni aziendali, che ricadono nell’ambito applicativo delle due fonti normative in questione, evidentemente, determina procedure unitarie per tipo di mansione/funzione svolta. E’ chiaro quindi che, ad esempio, la procedura per la rilevazione contabile degli accadimenti aziendali, deve essere una, poiché una è la contabilità, sia che la stessa venga utilizzata quale elemento prognostico di un eventuale stato di crisi, sia che configuri un obbligo civilistico, sia che rappresenti la grandezza di partenza per la determinazione della base imponibile. In altri termini la medesima procedura, volta ad assicurare la correttezza delle rilevazioni contabili, deve garantire simultaneamente: la possibilità di redigere situazioni periodiche volte a verificare l’andamento aziendale; l’informativa ex art 2423 e seguenti cc; nonché la corretta quantificazione della base imponibile (necessaria ad impedire la commissione di reati tributari).
L’adozione del MOG e degli adeguati assetti non solo è un obbligo di compliance, ma può consentire alle giovani generazioni, di essere parte attiva del passaggio generazionale, utilizzando quegli strumenti di cui i loro predecessori avevano fatto in gran parte a meno, per la loro esperienza diretta nel settore della produzione, ma anche perché si erano trovati a gestire l’azienda in una situazione di minore complessità e dinamicità dell’ambiente competitivo.
Introdurre e padroneggiare questi strumenti, ricavandone informazioni essenziali, consente da un lato di supplire alla “inesperienza” e dall’altro di tenere il passo, di una gestione aziendale che, indubitabilmente, oggi è più complessa di ieri: se ci si muove, più velocemente su percorsi sempre più imprevedibili, è evidente che occorre la massima attenzione nel rilevare il minimo accenno di criticità; se ci si ferma inoltre, a riflettere alla rilevanza competitiva della componente reputazionale, agli ESG, ai KPI, appare evidente come la gestione basata su intuito ed esperienza, sia a prescindere dal passaggio generazionale, non più utilizzabile.
L’imprenditore dopo aver per decenni gestito con successo l’azienda, si trova di fronte al sopra descritto cambiamento di scenario, di certo non repentino, ma che oggi è già in essere e che forse prima d’ora aveva accantonato o rimosso, dovrebbe traghettare la propria azienda -vedendola lui stesso come entità che gli deve sopravvivere inserendo persone in grado di utilizzare nuovi strumenti, affiancandoli e sostenendoli nella fase di transizione, cogestita dalle due generazioni che in questa fase devono necessariamente fare l’una un passo nella direzione dell’altra.
*A cura di Paolo Fratini, professore a contratto Università di Perugia, dottore commercialista – revisore legale, commissione “crisi d’impresa e sovraindebitamento” UNCC Elisabetta Torzuoli, Avvocato, specializzata in diritto penale d’impresa, si occupa di compliance aziendale, con particolare riferimento al D.Lgs. 231/2001, privacy, ambiente, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ambiti nei quali svolge anche attività di formazione
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