Esportatori abituali e splafonamenti, fatture e lettere d’intento da verificare
di Massimo Sirri, Matteo Balzanelli Il Sole 24 Ore , Estratto da “NORME E TRIBUTI”, 23 ottobre 2023, p.28
All’esportatore abituale non basta controllare che gli acquisti eseguiti senza addebito d’imposta, previa trasmissione della lettera d’intento alle Entrate, rientrino nell’ammontare del complessivo plafond disponibile. È necessario anche verificare che le fatture emesse dai singoli fornitori non determinino il superamento dell’importo della dichiarazione d’intento agli stessi riferibile.
In tal senso è la risposta data al recente Speciale Telefisco (del 20 settembre), esaminando le conseguenze sanzionatorie in capo all’esportatore abituale che si trovi in simili circostanze. Pur non trattandosi di uno splafonamento in senso proprio, la situazione non è tuttavia molto diversa. In effetti, secondo l’Agenzia, la ricezione di una fattura che è sì nei limiti del plafond totale a disposizione, ma che riporta un corrispettivo superiore a quello della lettera d’intento, impone all’esportatore abituale di regolarizzare l’operazione. Diversamente, si rende applicabile la sanzione dell’articolo 6, comma 8, lettera b), del Dlgs 471/1997, pari al 100% dell’imposta non applicata (minimo 250 euro).
Regolarizzare in liquidazione La risposta apre lo spazio a qualche riflessione. Innanzitutto, l’applicabilità della norma richiamata, che prevede la regolarizzazione mediante autofattura (di norma elettronica e documento TD21) entro il trentesimo giorno successivo alla registrazione della fattura originaria, imporrebbe anche il versamento dell’imposta, relativa all’imponibile eccedente l’importo della lettera d’intento e non addebitata dal fornitore: imposta che risulterà conseguentemente detraibile per l’esportatore in base alle ordinarie regole. Tuttavia, dato che, nei fatti, la fattispecie non si differenzia da quella del vero splafonamento (per acquisti eseguiti in assenza di lettera d’intento o per importi superiori al plafond complessivo), non si vedono ragioni per escludere la regolarizzazione con il metodo della liquidazione Iva che parimenti prevede l’emissione di autofattura, ma senza dover materialmente procedere al pagamento del tributo. Tale ultima procedura è infatti considerata alternativa dalla stessa Agenzia (risoluzione 16/E/2017 e Guida alla fattura elettronica) rispetto all’emissione della nota d’addebito del fornitore o all’autofattura con versamento dell’Iva ex articolo 6, comma 8, Dlgs 471/97. La sola differenza consiste nel fatto che la regolarizzazione in liquidazione è possibile soltanto entro il 31 dicembre dell’anno dello splafonamento.
Modalità da concordare Un altro aspetto (non trattato dalla risposta) riguarda il fatto che quella dell’esportatore abituale non configura certamente l’unica violazione. Il primo “colpevole” (per così dire) è infatti il fornitore, il quale, essendo destinatario di una lettera d’intento per un importo (in ipotesi) di 100, emette fattura non imponibile per 150. Per tale soggetto, la violazione non pare dissimile da quella di chi emette fattura senza applicazione dell’Iva in mancanza della lettera d’intento. La violazione, in questi casi, dovrebbe essere punita in capo al fornitore a norma dell’articolo 7, comma 3, del Dlgs 471/97, ossia con la penalità dal 100 al 200 per cento dell’imposta non applicata, fermo sempre il versamento del tributo. Considerato però che l’imposta dev’essere assolta anche dall’esportatore abituale – rischiandosi altrimenti, secondo le Entrate, la sanzione dell’articolo 6, comma 8 – è evidente l’opportunità che le parti coinvolte concordino le modalità della regolarizzazione. In effetti, se fornitore e cessionario/committente restano soggetti autonomamente alle sanzioni al verificarsi dei relativi presupposti, ognuno per l’irregolarità commessa in proprio, è altresì vero che l’imposta risulta dovuta una volta soltanto, indipendentemente dal soggetto che provvede ad assolverla. Cosicché, se per esempio la regolarizzazione è eseguita dall’esportatore abituale, il fornitore non dovrà nuovamente assolvere l’imposta (addebitandola al cliente), restando però a suo carico l’applicazione della sanzione dell’articolo 7, comma 3, eventualmente riducibile ricorrendo al ravvedimento operoso.
La via del ravvedimento Al ravvedimento potrebbe inoltre farsi ricorso anche per sanare eventuali violazioni collegate all’errata emissione di fattura non imponibile. È il caso dell’omesso o carente versamento d’imposta nel periodo (mese/trimestre) interessato. Ma sarebbero rilevanti anche le consequenziali violazioni comunicative (Lipe) e del modello dichiarativo. Nella (non convincente) prospettiva delle Entrate, la sistemazione degli errori dovrebbe infatti riguardare tutte le violazioni che “a cascata” conseguono all’originaria omissione/violazione. La riduzione delle sanzioni da ravvedimento operoso potrebbe inoltre interessare anche il caso in cui il plafond è erroneamente utilizzato dall’esportatore abituale per acquisti con Iva indetraibile.
È questa la situazione esaminata dalle Entrate in occasione di un precedente Telefisco (il 15 giugno 2022).
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