Il carattere “confessorio” dell’annotazione contabile delle fatture commerciali
Avv. Riccardo Paglia e Avv. Alfredo Talenti - Lègister Avvocati
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3581, pubblicata l’8 febbraio 2024, è tornata ad affrontare il tema del valore giuridico dell’annotazione contabile delle fatture commerciali da parte del destinatario.
Si tratta di un argomento di rilevante impatto pratico per le imprese che si trovano coinvolte in un contenzioso volto ad ottenere il pagamento del corrispettivo per prestazioni rese nell’ambito di rapporti commerciali, in particolare qualora manchi ulteriore prova del rapporto contrattuale.
La pronuncia in commento, infatti, ha riconosciuto decisiva rilevanza all’annotazione contabile delle fatture commerciali da parte del destinatario, attribuendole carattere ‘confessorio’, in assenza di contestazioni.
Tale principio deve essere considerato dall’imprenditore nella duplice prospettiva di creditore, o di debitore, in cui può venire a trovarsi nello svolgimento della propria attività, in modo da evitare condotte che possano frustrare la tutela dei propri diritti.
Al fine di meglio comprendere le implicazioni che possono derivare dalla decisione in commento, ripercorriamo i passaggi essenziali della sentenza.
Il caso concreto e le decisioni di merito
Il giudizio di primo grado origina da un decreto ingiuntivo avente ad oggetto i compensi pretesi da un’impresa, quale corrispettivo per attività di stoccaggio, selezione e smaltimento di materiale da riciclare. Il suddetto provvedimento monitorio veniva opposto dall’impresa ingiunta eccependo – tra l’altro – che una parte del credito fosse illegittimamente richiesto, in quanto attinente ad una specifica attività (di selezione e smaltimento di rifiuti), mai pattuita tra le parti.
Il Giudice di prime cure accoglieva tale motivo di opposizione affermando, con specifico riferimento alla prova dell’intervenuto accordo relativo alle prestazioni poco sopra menzionate, che tale pattuizione non fosse stata dimostrata e che l’annotazione delle fatture azionate nelle scritture contabili della società opponente fosse irrilevante.
Con atto di citazione in appello la società opposta impugnava la decisione di primo grado per diversi motivi, tra i quali l’erroneo disconoscimento delle spettanze dovute per la selezione e lo smaltimento del materiale da riciclare in base alla fattura prodotta in giudizio, regolarmente annotata e non contestata da controparte.
La Corte di Appello adita rigettava l’appello confermando integralmente la sentenza impugnata. In particolare il giudice del gravame ha condiviso la decisione del Tribunale nella parte in cui riteneva che non fosse stata data prova dell’accordo intercorso, non rilevando in tal senso le fatture emesse, che non possono essere utilizzate quale prova del credito nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Il giudizio di Cassazione
Con il primo motivo di ricorso per Cassazione la società ricorrente ha lamentato che la Corte di merito abbia ritenuto carente la prova dell’accordo in ordine all’attività di selezione e smaltimento dei rifiuti, nonostante la fattura prodotta dalla creditrice fosse stata iscritta nella contabilità di parte opponente e non fosse stata contestata stragiudizialmente, circostanze che avrebbero dovuto essere valutate come confessione dell’accordo sotteso all’emissione della fattura.
La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla società emittente la fattura censurando la decisione impugnata in quanto – senza motivare in ordine alla rilevanza dell’annotazione della fattura nelle scritture contabili dell’ingiunta ed alla mancanza di contestazioni stragiudiziali – si è limitata a negare la valenza probatoria delle fatture nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo.
Secondo la Suprema Corte “la fattura commerciale può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto (…). Con la conseguenza che l’annotazione della fattura nelle scritture contabili può costituire idonea prova scritta tra imprenditori dell’esistenza del credito, giacché la relativa annotazione, con richiamo alla fattura da cui nasce, costituisce atto ricognitivo in ordine ad un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante, stante la sua natura confessoria ex art. 2720 c.c.”.
A fronte delle argomentazioni che precedono la Corte di legittimità ha accolto l’impugnazione e cassato con rinvio la sentenza impugnata, rinviando alla medesima Corte di Appello in diversa composizione.
Il principio di diritto
Il principio di diritto posto a fondamento della decisione in commento della Suprema Corte (che si pone nel solco di diverse altre decisioni che si sono espresse nello stesso senso, quali Cass. Ord. n. 1444 del 15/1/2024, Cass. Ord. n. 1972 del 23/1/2023) afferma che una fattura commerciale non solo ha efficacia probatoria nei confronti dell’emittente, ma può costituire piena prova per entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto quando la fattura è accettata dal destinatario della prestazione.
Tale accettazione può ricavarsi dall’annotazione della fattura nella propria contabilità da parte del destinatario e dall’assenza di contestazioni stragiudiziali della stessa. In queste circostanze l’annotazione contabile della fattura costituisce atto ricognitivo di un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante che, in quanto tale, ha natura confessoria, in forza di quanto disposto dall’art. 2720 c.c.
La predetta applicazione dell’art. 2720 c.c. non è del tutto immune da critiche. Invero, la disposizione in commento regola l’efficacia probatoria degli atti ricognitivi o di rinnovazione, ossia dei documenti che dichiarano l’esistenza ed il contenuto dell’originale. Tali atti hanno natura confessoria e fanno piena prova dell’originale. Le fatture e la loro annotazione nei registri contabili del ricevente non pare possano ricondursi alla predetta nozione di atto ricognitivo di un contratto e l’art. 2720 c.c., in considerazione della sua natura eccezionale. non sembra possa essere applicato in via analogia.
Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale in esame – come si è visto – è ricorrente ed è stato condiviso da diverse decisioni di legittimità e pertanto deve essere considerato nelle sue implicazioni sull’attività imprenditoriale.
Implicazioni pratiche
La sentenza della Cassazione in commento considera la mancata contestazione e la registrazione di una fattura nella contabilità societaria piena prova dell’esistenza del relativo credito tra imprenditori.
Da tale pronuncia può ricavarsi la conclusione che l’imprenditore che riceve una fattura commerciale per prestazioni oggetto di contestazione ha l’onere di contestare tempestivamente il documento contabile ricevuto e non deve procedere alla sua annotazione contabile, diversamente riconoscerebbe la sussistenza del rapporto contrattuale.
Per converso, la parte che procede in via contenziosa al recupero di un credito derivante da fattura commerciale ha la possibilità, ai fini della prova del rapporto giuridico sottostante, di valorizzare la mancata contestazione della fattura e la sua annotazione nei registri della controparte, circostanza che può essere svelata anche tramite istanza di esibizione nel corso del giudizio.
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