Il delicato passaggio al Codice della Crisi: entrata in vigore e procedimenti pendenti
Il periodo di transizione da un sistema normativo ad un altro è sempre un passaggio delicato, che spesso fa emergere questioni interpretative e dubbi in relazione a quale disciplina applicare al caso concreto. Tale situazione si è naturalmente generata anche in relazione all'entrata in vigore del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (15 luglio 2022), sebbene la regola generale dettata dall'art. 390 fosse chiara: «I ricorsi per dichiarazione di fallimento e le proposte di concordato fallimentare, i ricorsi per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l'apertura del concordato preventivo, per l'accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e le domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell'entrata in vigore del presente decreto sono definiti secondo le disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché della legge 27 gennaio 2012, n. 3.». Vale a dire che le istanze, intese in senso lato, depositate prima del 15 luglio dovevano restare soggette alla disciplina prevista dalla legge fallimentare, mentre quelle successive alla medesima data sarebbero state soggette alla nuova normativa. Tuttavia, la applicazione di un principio, apparentemente, così semplice rivela alle volte alcune criticità. E' così, infatti, che alcuni Giudici si sono trovati ad interrogarsi circa la normativa da applicare al caso concreto, giungendo a decisioni talvolta discordanti.
Si prenda ad esempio il caso di una istanza di fallimento presentata prima del 15 luglio seguita però, successivamente al 15 luglio, da una domanda di concordato preventivo. Ebbene, una applicazione letterale dell'art. 390 vorrebbe che il concordato preventivo fosse soggetto alla nuova normativa, ma di diverso avviso si sono rivelati alcuni Giudici (Trib. Udine 21/7/22; Trib. Verona 27/7/22; Trib Trento 17/8/22; Trib Mantova 6/9/22), i quali hanno ritenuto applicabile la disciplina della legge fallimentare, in virtù della necessità di privilegiare l'unitarietà del procedimento, e di evitare conflitti pratici e di difficile soluzione tra le norme. Si rischierebbe ad esempio, secondo i Giudici, un concordato regolato dal Codice della crisi, che in caso non fosse omologato si "trasformerebbe" in un fallimento disciplinato dalla legge fallimentare.
Di opposto avviso invece il Tribunale di Roma (21/7/22), ritenendo preminente l'applicazione del nuovo codice alla procedura introdotta dalla domanda di concordato, presentata peraltro con udienza prefallimentare già convocata, ritenendo che il procedimento unitario dovesse riferirsi al concordato e quindi sotto la vigenza del nuovo Codice della Crisi.
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