Imprese, colpite dal virus rischiano la loro esistenza
Il 32,4% delle aziende (con il 21,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. La diffusione della vendita di beni o servizi mediante il proprio sito web è quasi raddoppiata, e ha coinvolto il 17,4% delle imprese. Nonostante la crisi, il 25,8% delle imprese (che occupano il 36,1% degli addetti) è orientata ad adottare strategie di espansione produttiva. Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,3% nel Nordovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,5% al Centro e il 25,9% nel Mezzogiorno. Sono chiuse il 7,2% delle imprese, circa 73 mila, che pesano per il 4,0% dell’occupazione. Di queste 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila (pari all’1,7% delle imprese e allo 0,9% degli occupati) non prevedono una riapertura. L’85% delle unità produttive chiuse sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale), in cui è elevata anche la quota di aziende parzialmente aperte (35,2%). Le attività sportive e di intrattenimento presentano la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco. Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese). Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all’11,3% delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative. Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia).Il 68,4% delle imprese (che rappresentano il 66,2% dell’occupazione) dichiara una riduzione del fatturato nei mesi giugno-ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel 45,6% dei casi il fatturato si è ridotto tra il 10% e il 50%, nel 13,6% si è più che dimezzato e nel 9,2% è diminuito meno del 10%. Sul territorio, la quota di imprese con vendite in crescita risulta superiore alla media nazionale nella provincia autonoma di Trento (17,5%), in Veneto (12,5%) e Abruzzo (12,3%). Sul versante opposto, la quota di imprese che fanno registrare una flessione del fatturato superiore al 50% è più alta nel Lazio (18,3%), in Sicilia (17,4%), Campania (17,3%) e Calabria (17,1%). A livello settoriale, recuperano rispetto ai risultati particolarmente negativi di marzo-aprile le imprese che operano nelle costruzioni, con il 26,8% che dichiara una stabilità del fatturato e l’11,5% una crescita, contro l’8,3% e il 6,1% di marzo-aprile. Nel complesso, recupera anche il settore della produzione di beni intermedi ma con specificità a livello di singoli comparti. Più nel dettaglio, la metallurgia presenta una quota relativamente elevata di imprese con flessione del fatturato mentre nelle industrie farmaceutiche l’incidenza di dinamiche positive, pur consistente (22% dei casi), è inferiore a quella di marzo-aprile (28%); l’opposto avviene per l’industria della chimica (21,8% a giugno-ottobre e 18,6% a marzo-aprile). La quota di operatori che riportano una perdita di fatturato compresa tra il 10 e il 50% è superiore alla media complessiva (45,6%) nel comparto dei beni alimentari (50,8%) e in quello dei beni di investimento (49,2%).
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