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Daniel Piscitelli

La causale individuale può spingere i contratti a termine oltre il 30 aprile

di Alessandro Rota Porta, Ornella Lacqua Il Sole 24 Ore , Estratto da “NORME E TRIBUTI”, 23 ottobre 2023, p.34


Validità delle causali dei contratti a termine fissate dai contratti collettivi, portata della scadenza del 30 aprile 2024 per l’individuazione delle causali fra datore e lavoratore, applicazione dell’azzeramento del “contatore” al 5 maggio 2023 per definire i primi 12 mesi acausali. Sono i tre punti principali sui quali ha fornito importanti chiarimenti la circolare del ministero del Lavoro n. 9 del 9 ottobre, dedicata al decreto 48/2023 (convertito dalla legge 85/2023). Il cosiddetto decreto Lavoro ha riscritto infatti la disciplina delle causali dei contratti a tempo determinato. Accordo fra le parti Il primo aspetto di rilievo sul quale si è soffermata la circolare 9/2023 riguarda la gestione del periodo transitorio entro il quale è concesso a datore di lavoro e lavoratore – in mancanza di regolamentazione stabilita nella contrattazione collettiva – individuare le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro di durata superiore a 12 mesi, fino a 24 mesi di durata massima (fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore). Il legislatore ha circoscritto questa possibilità al 30 aprile 2024. Sorgeva il dubbio se tale data andasse intesa quale termine di scadenza del rapporto stipulato in base a questa disposizione (articolo 19, comma 1, lettera b), del Dlgs 81/2015, modificato dal Dl Lavoro) oppure quale termine ultimo entro il quale poter sottoscrivere il contratto a tempo determinato con queste caratteristiche.

Il ministero del Lavoro ha sposato quest’ultima tesi: pertanto, i rapporti a termine per i quali sia stata definita una causale tra le parti potranno cessare anche oltre il 30 aprile del prossimo anno. Le parti hanno quindi facoltà di prorogarli e rinnovarli indicando qualsiasi scadenza, purché entro i limiti massimi di legge (24 mesi), a patto che l’accordo di proroga o rinnovo sia sottoscritto entro il 30 aprile 2024. I contratti collettivi esistenti.

La seconda questione trattata dalla circolare 9/2023 riguarda la sorte degli accordi collettivi che rimandano a norme non più vigenti, come nel caso della vecchia stesura dell’articolo 19, del Dlgs 81/2015, nella versione modificata dal decreto Dignità del 2018. Il Dl 48/2023, infatti, ha assegnato alle parti sociali la definizione dei casi nei quali è ammessa la continuazione oltre i 12 mesi dei rapporti a termine (sempre nel rispetto del limite massimo ordinario di 24 mesi). Su questo tema i datori dovranno effettuare una verifica caso per caso: se i contratti collettivi nazionali rimandano a disposizioni ormai superate dal Dl Lavoro (ad esempio, a quelle del Dl 87/2018) allora i 12 mesi di rapporto a termine potranno essere superati soltanto in presenza di intese collettive di secondo livello o, mancando queste ultime, ricorrendo all’autonomia delle parti individuali del contratto, fino al 30 aprile 2024. Diversamente, se gli accordi collettivi individuano già un sistema di causali coerenti con le previsioni del Dl 48/2023 (ad esempio, secondo i principi introdotti dall’articolo 41-bis del Dl 73/2021, «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51») allora le stesse potranno essere tuttora considerate valide (data la sostanziale identità di quella previsione con quella attuale, nota la circolare 9/2023) ed escludono la strada negoziale individuale. Inoltre, il ministero del Lavoro considera sempre legittime le fattispecie contenute nella contrattazione collettiva che specifichino le condizioni per ricorrerre ai contratti a tempo determinato, purché non si limitino a un mero rinvio alle causali legali previste dalla disciplina previgente: in sostanza, si dovrà rinvenire nella disciplina collettiva una definizione precisa delle causali, non essendo ritenuta valida una semplice riscrittura delle disposizioni di legge.

Su questi specifici profili resta l’incertezza su come comportarsi rispetto alle intese collettive che disciplinano soltanto il lavoro a termine e non anche la somministrazione di manodopera, aspetto che la circolare non si è occupata di dirimere. Sempre sul tema della contrattazione, per intese collettive (nazionali, territoriali o aziendali) si intendono quelle che rispettano i canoni dell’articolo 51 del Dlgs 81/2015, ossia sottoscritte da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle Rsu/Rsa nell’ipotesi di quelle aziendali. L’azzeramento del contatore Infine, un’altra questione di rilievo è la disposizione introdotta in sede di conversione del Dl 48/2023 che – di fatto – azzera nel computo della durata acausale dei rapporti a termine quelli “stipulati” prima del 5 maggio scorso (data di entrata in vigore del provvedimento) anche se si sono protratti oltre tale data. In sostanza, dal contatore dei primi 12 mesi acausali possono essere eliminati tutti i periodi dei rapporti di lavoro a termine derivanti da contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, siano essi riferiti a nuovi contratti, a proroghe o a rinnovi.

Se invece la proroga o il rinnovo del contratto, sottoscritto prima del 5 maggio, avvengono dopo questa data, allora l’arco temporale che decorre dalla stipula (della proroga o del rinnovo) va a erodere la durata dei 12 mesi acausali.

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