P.A., è di 741mila unità il fabbisogno occupazionale di qui al 2025
La Pubblica amministrazione italiana nei prossimi 5 anni avrà bisogno di oltre 741mila nuovi dipendenti, dei quali oltre 692mila per sostituire quelli che usciranno soprattutto per andare in pensione e circa 49mila lavoratori aggiuntivi. E’ la previsione sul fabbisogno 2021/2025 del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, resa nota dal segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, al convegno su “Pubblica amministrazione e impiego pubblico” in corso a Madonna di Campiglio (TN). Il numero dei pubblici dipendenti, ricorda Tripoli, “è di poco superiore a 3,2 milioni di unità e, nonostante l’importanza dei valori assoluti, è al minimo storico da vent’anni a questa parte con un calo del 3,9% solo negli ultimi dieci anni. In rapporto alla popolazione, si tratta di uno dei livelli più bassi in Europa”. Inoltre, segnala Tripoli, “oggi, la PA è anziana: Il 55% dei dipendenti pubblici ha più di 55 anni contro il 37,3% del totale degli occupati, solo il 4,2% ha meno di 30 anni e l’età media è di 50,6 anni”. Inoltre 6 dipendenti pubblici su 10 non sono laureati, due terzi dei laureati hanno una formazione giuridico-amministrativa con poche lauree Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e tecnico-professionali. A fronte di ciò, per Tripoli, “occorre poi segnalare il calo esponenziale degli investimenti in formazione: dai 262 milioni di euro del 2008 ai 164 milioni nel 2019 (soli 48 euro per dipendente)”. Anche per questo bisogna sfruttare “l’occasione del Recovery Plan per gestire bene l’ampio turnover dei prossimi anni, selezionando forze giovani e competenti, capaci di gestire il cambiamento verso green e digitale. Ciò è necessario – sottolinea Tripoli - per riqualificare la PA e trasformarla in fattore di competitività per l’economia italiana”. Sempre secondo Excelsior, il 42% del fabbisogno occupazionale della PA dei prossimi anni è rappresentato da figure ad elevata specializzazione, seguite da un 21% di figure tecniche. “Quasi i due terzi della domanda di dipendenti pubblici nei prossimi anni – conclude – sarà costituita da lavoratori in possesso di un titolo universitario mentre la quota residuale sarà rappresentata per lo più da diplomati”. Occorre quindi “individuare subito le competenze necessarie, puntare sulle soft skill oltre che sulle hard skill, introdurre percorsi innovativi per la selezione del personale e rivedere i sistemi di valutazione orientandoli al risultato e premiando quegli enti pubblici che hanno la determinazione di cogliere la sfida”.
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