Transazione fiscale, limitata l’omologazione forzosa
di Giulio Andreani Il Sole 24 Ore , Estratto da “Norme e Tributi”, p.27, 17 giugno 2023
Le esagerazioni dei contribuenti hanno sempre provocato una reazione del legislatore e così è accaduto anche con riguardo alla transazione fiscale. Infatti, a seguito di alcuni casi di transazioni particolarmente (e inopportunamente) aggressive, con l’articolo 25 del decreto Pa, approvato il 15 giugno in Consiglio dei ministri, è stata temporalmente sospesa l’applicazione delle disposizioni recate dall’ultimo periodo del comma 2 e dal comma 2-bis dell’articolo 63 del Codice della crisi, che disciplina l’omologazione forzosa della proposta presentata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti; pertanto, fino all’entrata in vigore di un apposito decreto correttivo di tale articolo del Codice della crisi, significative limitazioni sono state introdotte alla omologazione forzosa della transazione, che il tribunale può disporre in caso di mancata adesione dell’amministrazione finanziaria alla proposta formulatale dal debitore.
Tale reazione è stata originata, in particolare, da alcune transazioni, rigettate dalle Entrate ma omologate forzosamente dai competenti tribunali, che prevedevano un soddisfacimento dei crediti dell’erario non superiore al 5%, dopo che negli anni precedenti, a fronte di un incremento dell’importo di questi ultimi, gli altri debiti erano invece diminuiti (il che significa che a questi era stata destinata liquidità generata dal mancato pagamento dei tributi), e spesso escludevano accordi con altri creditori, con la conseguenza che l’erario era l’unico creditore a cui veniva richiesta una falcidia.
Si è trattato, in tali casi, di un utilizzo distorto, e dunque di un abuso, della transazione fiscale, per effetto del quale sono state di fatto aggirate e vanificate le cause di prelazione che assistono i crediti tributari; abuso che non era tuttavia agevole contrastare sulla base delle disposizioni vigenti e degli indirizzi espressi su tale tema dalla giurisprudenza. Da qui l’opportuno intervento legislativo, il quale non modifica, peraltro, le norme che disciplinano l’approvazione della proposta di transazione fiscale da parte delle Entrate, ma solo la omologazione forzosa della stessa che il tribunale può pronunciare a seguito dell’inerzia o del diniego del Fisco; non riguarda, inoltre, la transazione fiscale proposta nell’ambito del concordato preventivo.
La nuova norma prevede che, se proposta nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, la transazione è omologata dal tribunale, anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, quando, oltre a essere – come in passato – conveniente per i creditori pubblici rispetto all’alternativa liquidatoria e determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali del 60 o del 30% dei crediti oggetto dell’accordo, ricorrono anche le ulteriori condizioni che seguono:
l soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi è pari almeno al 30% del loro ammontare, comprensivo di sanzioni e interessi, se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti corrisponde ad almeno un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante;
il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi è pari almeno al 40% del loro ammontare, comprensivo di sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento non eccede il periodo di dieci anni, se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti è inferiore a un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante oppure se non vi è alcun altro creditore aderente all’accordo;
gli accordi di ristrutturazione non hanno carattere liquidatorio. Pertanto, se i debiti complessivi dell’impresa in crisi sono pari, ad esempio, a dieci milioni e quelli tributari e contributivi a sei milioni, la proposta di transazione deve prevedere un soddisfacimento di questi ultimi non inferiore al 30%, se aderiscono all’accordo altri creditori titolari di crediti per almeno 2,5 milioni (in questo caso la dilazione di pagamento può anche eccedere la durata di dieci anni); se invece aderiscono all’accordo altri creditori che sono titolari di crediti per un ammontare inferiore a quello di 2,5 milioni, o non vi aderisce alcun creditore, il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi deve essere pari almeno al 40% e la dilazione non può eccedere i dieci anni. In sostanza la convenienza e la natura determinante dell’adesione dei creditori pubblici non sono più sufficienti ai fini del cram down fiscale.
Le imprese che danno corso a ristrutturazioni che escludono la prosecuzione dell’attività possono continuare ad avvalersi della transazione fiscale, ma non della omologazione forzosa. A seguito della sospensione dell’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 63, l’articolo 25 del decreto Pa stabilisce, con analoga previsione, che l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali deve intervenire entro 90 giorni dal deposito della proposta di transazione.
Viene in tal modo ribadito che la domanda di omologazione forzosa può essere presentata al tribunale, sul presupposto della mancata adesione emergente dal difetto di pronuncia dei creditori pubblici, solo successivamente al decorso tale termine; ciò in conformità ai provvedimenti dei tribunali che sinora si sono occupati di tale fattispecie. Le nuove disposizioni sono applicabili solo alle proposte di transazione depositate successivamente alla loro entrata in vigore e pertanto non riguardano quelle presentate precedentemente, a nulla tuttavia rilevando sotto questo profilo la loro eventuale modifica a seguito delle trattative condotte con l’amministrazione finanziaria.
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